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Il presepio napoletano,
tra religione e simboli pagani
con una laicità inaspettata
di Marco Schaufelberger
La legenda vuole che il presepe l'abbia creato
San Francesco d'Assisi, nel 1223 a Greccio.
Ma è a Napoli che nella seconda metà del XVIII
sec. la rappresentazione sacra nei secoli dei lumi
si veste di simboli, abbandonando il segnale
forte e diretto della natività, trasformandosi in
un racconto tra sacro e misterico.
Osservando uno dei vari capolavori di tale arte
si fa fatica a notare il Sacro Bambino, dové?
Un turbinio di scene all'apparenza profane
invadono la ribalta, osterie piene di vettovaglie
e delizie gastronomiche, procaci popolane che
danzano con vertiginose scollature, ubriaconi
ecc.
Uno spaccato della vita contemporanea, un far
rivivere la natività nell'oggi, nell'essere.
I simboli provenienti dal racconto evangelico
di San Luca
"Maria diede alla luce il figlio primogenito, lo
avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia,
perchè non c'era posto per loro nell'albergo."
(Vangelo di Luca II, 7)
Segue l'adorazione dei pastori e gli angeli nel
cielo.
I simboli provenienti dai Vangeli apocrifi
Per citarne alcuni l'immancabile coppia di bue e
asinello derivano dal protovangelo di Giacomo,
oppure da una profezia di Isaia che scrive
"Il
bue ha riconosciuto il suo proprietario e l'asino
la greppia del suo padrone"
sebbene Isaia non si
rivolge al Cristo l'immagine viene utilizzata
come simbolo per gli ebrei col bue e dei pagani
con l'asino.
Ma il bue rappresenta anche il sole, mentre
l'asino la luna in una polarità.
Anche la grotta o la stalla non vengono citati nei
Vangeli canonici, ma questo simbolo della
grotta è presente sopratutto nei popoli del
settore mediorientale.
Lo stesso Mitra nasce da una roccia.
Mentre i Magi allievi di Zoroastro si trovano nel
Vangelo di Matteo, ma è il Vangelo armeno
dell'infanzia che ci offre il maggior numero di
informazioni sul nome (Melkon, Gaspar e
Balthasar) e il numero di questi sapienti venuti
da Oriente, dalla Persia con oro, argento e mirra,
tre come i continenti conosciuti all'epoca
Europa, Africa e Asia.
Lo stesso numero dei magi per un lungo periodo
fu controverso tra due e dodici, ma con un
decreto di Leone I Magno come i doni furono
definitivamente stabiliti in numero di tre.
Mentre nel simbolismo esoterico delle fiabe
campane rappresentano con le loro cavalcature
bianca, rossa e nera il cammino del sole,
bianco per l'aurora, rosso per il mezzogiorno e
nero per la sera, la notte.
La splendida rappresentazione del corteo dei
Magi riflette il gusto orientalizzante tipico
dell'arte settecentesca con un seguito di mori,
mongoli e animali esotici tra scimmie,
pappagalli e elefanti, ma forse il personaggio
più misterioso è la cosi detta Re magia, la
georgiana, donna giovane e affascinante,
inseparabile compagna del Re moro,
rappresentando la luna che segue la notte.
Terminando sui Magi ricordiamo che i tre colori
sono riportati in alchimia per definire le tre
operazioni alchemiche per giungere alla pietra
filosofale.
I simboli tipici del presepe napoletano
L'osteria
L'osteria racchiude in se una vastità di simboli,
primo fra tutti i pericoli riservati al viaggiatore,
al pellegrino, i racconti dell'epoca sono pieni di
storie truculente di macabri delitti perpetrati da
sanguinosi osti.
In una leggenda napoletana si narra la triste
storia di un oste che uccise tre bambini
tagliandoli a pezzi è conservando il macabro
bottino in una botte volendo venderlo per pezzi
di tonno, ma li passò San Nicola che
smascherato l'avventore benedice i resti mortali
resuscitando i tre bambini.
Le mamme napoletane cantavano una ninna
nanna intitolata "'o lagno 'e Natale"che cita:
"Santu Nicola alla taverna jeva. Era vigilia e nu
se cammarava".
Mentre nella cantata dei pastori il diavolo
Belfagor, adesca la Madonna e San Giuseppe
nel tentativo di uccidere Maria, ecco perchè alle
volte l'oste è raffigurato con due o un bubbone